Indagine iniziale: 28 febbraio 2003. Ultimo aggiornamento: 15 settembre 2003.
Indagini antibufala consultate dal 7/11/2003:
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A chain letter,
often accompanied by a PowerPoint presentation that claims to have
originated from the authoritative Milan Polytechnic Institute, alleges
that the Gulf War did not cost a cent to the US, because it was
ultimately paid by "us" (presumably, "us Europeans", as opposed to "them Americans") through higher oil prices, which are claimed to have benefited only "US state-owned oil companies" such as "Tamoil and Shell".
The data and information given in this chain letter is riddled with errors:
for example, Tamoil and Shell are not "US state-owned oil companies",
and Tamoil is most definitely not a US company at all, state-owned or
not. The rest of the chain letter is just as inaccurate.
All these errors, inaccuracies and inconsistencies have been admitted publicly by the author of the original PowerPoint presentation, who is merely a somewhat reckless and overenthusiastic student of the Polytechnic. The presentation is not an official piece of research and is not endorsed in any way by the Milan Polytechnic.
The author of the chain letter is now publicly asking everyone NOT to distribute it. You can read his statement on the matter below.
The rest of this page is in Italian. If you feel like preparing a
translation in other languages, please feel free to do so, and let me
know, so I can link to it.
Le prime segnalazioni di questo appello mi sono arrivate a fine febbraio 2003.
Questa non è un'indagine pro o contro l'intervento militare in Iraq. Intende semplicemente valutare quanto sia corretta una serie di affermazioni che circola in Rete con l'apparenza di provenire da fonti autorevoli. L'esattezza o meno di queste affermazioni non ha nulla a che vedere con le mie e vostre opinioni sugli aspetti militari descritti nell'appello. La disinformazione è un danno sempre e comunque.
Dato che l'appello ha avuto degli strascichi legali, tengo a chiarire che questa pagina resta a disposizione delle aziende, organizzazioni e persone citate nell'appello per qualsiasi rettifica o precisazione, nel massimo rispetto della loro riservatezza.
Se avete fretta e non volete sorbirvi i miei sproloqui, qui trovate le dichiarazioni dei diretti interessati, che mi hanno chiesto di pubblicarle:
Vorrei ringraziare gbissa, Giuseppe Greco e Yuri Artioli, citati con il loro permesso, che hanno raccolto le testimonianze del professore e dell'autore dell'appello, e altri lettori, come iaiab, cmastroeni, claudia, alessandro.f***on e baxtex, che hanno fornito ulteriori conferme e dettagli oltre a snidare alcuni miei refusi, e sono quindi promossi Aiuto Detective Antibufala honoris causa. Infine ringrazio Ketty, responsabile comunicazione di Emergency.it, per aver chiarito la posizione di Emergency nella vicenda e per aver confermato le segnalazioni degli Aiuto Detective Antibufala.
Il testo integrale dell'appello, nella sua versione originale italiana, è riportato qui sotto, ma è piuttosto prolisso, per cui lo riassumo: uno “studio del Politecnico di Milano” afferma, sulla base dell'esempio della Guerra del Golfo, che un'eventuale guerra in Iraq sarebbe un colossale affare che agli Stati Uniti non costerebbe un centesimo, ma dal quale anzi gli USA trarrebbero miliardi di dollari di guadagno, e che la guerra sarebbe in realtà pagata da “noi”, che presumibilmente saremmo noi europei.
Di questo appello esiste anche una versione PowerPoint leggermente più dettagliata, del peso di circa 170 kilobyte, in varie lingue (sicuramente in spagnolo, francese, greco e in inglese). A titolo di confronto, la versione testuale italiana è riportata qui sotto nella colonna di sinistra; la trascrizione della versione PowerPoint italiana è nella colonna di destra. Le evidenziazioni in grassetto sono mie.
Disilludiamoci un pochettino... Si tratta di uno studio del Politecnico di Milano che inoltro da ICL (it.cultura.libri). "PERCHE SI FA UNA GUERRA? Alcune semplici cifre: 1) I COSTI DELLA GUERRA DEL GOLFO 40 MLD DI $ (42 MLD DI EURO - 80.000 MLD DI LIRE) CHI LI HA PAGATI? Verrebbe spontaneo dire che il 40 mld di $ siano stati pagati dagli USA... Ma ciò è vero solo in parte: di questi 40 mld di $ -- il 25% è stato coperto dagli USA (10 mld $) -- il 75% è stato coperto dai paesi arabi, in particolare Kuwait e Arabia Saudita (30 mld $) E dove li hanno trovati? Il prezzo del petrolio, prima della guerra, era di circa 15 $ al barile... ma, con la guerra del Golfo è lievitato fino a 42$ al barile, generando un guadagno extra stimato intorno ad almeno 60% di $ E a chi è andato questo guadagno? Nei paesi arabi vige la legge del fifty-fifty: 50% al governo locale, 50% alla multinazionale che controlla il giacimento. Quindi: GUADAGNO NETTO DAL RINCARO DEL PETROLIO: 60 MLD DI $ -- 30 MLD DI $ ALLE COMPAGNIE PETROLIFERE -- 30 MLD DI $ AI PAESI ARABI (KUWAIT - ARABIA SAUDITA) Ma, di chi sono le compagnie petrolifere? Nel Medio oriente l'estrazione ed il commercio del petrolio è TOTALMENTE in mano alle 7 sorelle (Shell, Tamoil, Esso...) tutte americane, di cui 5 di proprietà statale americana. Quindi, dei 30 mld di $: -- Circa 21 mld al governo americano -- Circa 9 mld a privati americani FACCIAMO 2 CONTI: SPESE GUADAGNO RICAVI/PERDITE Gli USA quindi guadagnano 20 mld di $ dalla guerra. E i costi della guerra chi li paga? Coloro che comprano il petrolio. Noi. E gli USA, tra aumento del prezzo del greggio e guadagni dell'indotto bellico, hanno guadagnato: -- 11 mld di $ direttamente -- 49 mld di $ dall'indotto Infatti, dove sono andati a finire i 60 mld di $ spesi nella guerra? Nell'industria bellica, che guardacaso è quasi totalmente... AMERICANA! Ora risulta più facile capire il perchè della guerra del Golfo e anche il perchè di altri due fatti di attualità: il perchè della guerra in Afghanistan e della guerra (probabile, quasi certa) della nuova guerra in Iraq. La guerra in Afghanistan aveva come principale obiettivo l'instaurazione di un governo fantoccio che desse via libera alla costruzione di un oleodotto, di proprietà americana lungo 2.500 km del suo territorio. Questo oleodotto, d'importanza strategica, ha come unica alternativa la costruzione di un altro oleodotto, lungo 5.500 km, enormente più costoso da costruire e da mantenere, anche a causa delle tasse che i paesi attraversati imporrebbero agli USA. Molto più facile radere al suolo un paese martoriato da 30 anni di guerra e renderlo una propria dependance, con la possibilità di costruire e gestire l'oleodotto scorciatoia in tutta tranquillità. Per capire coma mai Bush voglia attaccare di nuovo l'iraq bisogna sapere come gli USA sono in rotta con i loro maggiori fornitori di petrolio nell'area mediorientale: l'Arabia Saudita. La rottura sta diventando insanabile, sia perchè l'Arabia Saudita è uno dei paesi maggiormente coinvolti nel terrorismo di Bin laden, sia perchè l'opinione pubblica internazionale è schierata in massa contro questo paese a causa del mancato rispetto dei più elementari diritti umani. Non solo: negli ultimi mesi la crisi che ha colpito il Venezuela (ridotto alla fame proprio dalla politica delle compagnie petrolifere americane) sta provocando gravi incognite sulla stabilità delle forniture petrolifere da questo paese agli USA. Per l'amministrazione Bush si è quindi creato un obiettivo prioritario: cercare un'alternativa petrolifera all'Arabia Saudita nell'area mediorientale. Il modo più facile, ovviamente, è fare una guerra all'Iraq e instaurare un regime fantoccio alla dipendenza diretta degli stessi USA. Perchè l'Iraq? Per 3 semplici motivi: -- è un paese che non può difendersi (la povertà causata dall'embargo provoca la morte per fame di 300.000 bambini ogni anno) -- offre un facile pretesto (la presenza di fantomatiche armi di distruzione di massa, peraltro sviluppabili solo con un'altissima tecnologia e notevoli capitali, cose che che l'iraq proprio non possiede) per giustificare l'attacco agli occhi dell'opinione pubblica, che nulla sa delle vere cause della guerra (le lotte per il controllo del petrolio) ) -- al momento l'iraq non gode della protezione di nessuno stato potente, in grado di opporsi con decisione alla minaccia di un attacco americano. |
[Slide 1] Perché si fa una guerra? I retroscena dell'attacco americano all'IRAQ nel 1991 Tratto da una lezione del corso di “Modellistica e Gestione delle Risorse Naturali 1”, Politecnico di Milano [Slide 2] I costi della Guerra del Golfo 40 miliardi di dollari --> cioè 42 miliardi di euro --> cioè 80.000 miliardi di lire [Slide 3] Ma chi li ha pagati? Verrebbe spontaneo dire che i 40 miliardi di $ siano stati pagati dagli USA... Ma ciò è vero solo in parte: infatti... 40 MILIARDI $ -- il 25% è stato coperto dagli USA (10 MILIARDI $) -- il 75% è stato coperto dai paesi arabi, in particolare da Kuwait e Arabia Saudita (30 MILIARDI $) [Slide 4] Ma dove li hanno trovati i soldi? Il prezzo del petrolio, prima della guerra, era di circa 15 $ al barile... ma, con la guerra del Golfo è lievitato fino a 42$ al barile, generando un guadagno EXTRA stimato intorno ad almeno 60 miliardi di $ E a chi è andato questo guadagno? Nei paesi arabi vige la legge del fifty-fifty: 50% al governo locale, 50% alla multinazionale che controlla il giacimento. Quindi:... [Slide 5] Guadagno netto dal rincaro del petrolio: 60 MILIARDI $ -- 30 MILIARDI $ alle compagnie petrolifere -- 30 MILIARDI $ ai governi dei paesi arabi (Kuwait + Arabia Saudita) [Slide 6] Ma di chi sono le compagnie petrolifere? Nel Medio oriente l'estrazione e il commercio del petrolio è totalmente in mano alle 7 sorelle (Shell, Tamoil, Esso...) tutte americane, di cui 5 di proprietà statale americana. 30 MILIARDI $: -- Circa 21 miliardi al governo americano -- Circa 9 miliardi a privati americani [Slide 7] Facciamo un po' di conti: Spese Guadagno Ricavi Adesso è tutto chiaro... gli USA hanno guadagnato 20 miliardi di $ dalla guerra! Altro che liberare il Kuwait... volevano solo intascare la grana! [Slide 8] Ma non è ancora finita... -- Chi ha pagato, alla fine dei conti, la guerra del '91 in Iraq? -- Quelli che utilizzano il petrolio... -- ...cioè noi! [Slide 9] Quindi gli USA, tra aumento del prezzo del greggio e guadagni dell'indotto bellico, hanno guadagnato: -- 11 miliardi di $ direttamente -- 49 miliardi di $ dall'indotto!!! [Slide 10] 2. Dove sono andati a finire i 40 mld di $ spesi nella guerra? Nell'industria bellica, che guardacaso è quasi totalmente... AMERICANA!!! [Slide 11] Ultime considerazioni E' facile immaginare come la Guerra del golfo, nel 1991, sia stata combattuta esclusivamente per questi motivi economici, e non per qualche fine “umanitario” o di “difesa della libertà”. Ma adesso risulta facile anche capire altri due fatti di attualità: il perchè della guerra in Afghanistan e della probabile, nuova guerra in Iraq. [Slide 12] In particolare, la guerra in Afghanistan aveva come principale obiettivo l'instaurazione di un governo fantoccio che desse il via libera alla costruzione di un oleodotto (di proprietà americana) lungo 2.500 km attraverso il suo territorio. Questo oleodotto, di importanza strategica, ha come unica alternativa la costruzione di un altro oleodotto, lungo 5.500 km, enormemente più costoso da costruire e da mantenere, a causa delle tasse che i paesi attraversati imporrebbero agli USA. Molto più facile, quindi, radere al suolo un paese già martoriato da 30 anni di guerra e renderlo una propria dependance, con la possibilità di costruire e gestire l'oleodotto-scorciatoia in tutta tranquillità. [Slide 13] Per capire come mai Bush jr. voglia attaccare di nuovo l'iraq bisogna invece sapere che gli USA sono in rotta con i loro maggiori fornitori di petrolio nell'area mediorientale: l'Arabia Saudita. La rottura sta diventando insanabile, sia perché l'Arabia Saudita è uno dei Paesi maggiormente coinvolti nel terrorismo di Bin Laden, sia perché l'opinione pubblica internazionale è schierata in massa contro questo paese a causa del mancato rispetto dei più elementari diritti umani. Per l'amministrazione Bush si è quindi creato un obiettivo prioritario: cercare un'alternativa petrolifera all'Arabia Saudita nell'area mediorientale. [Slide 14] Il modo più facile, ovviamente, è fare una guerra all'Iraq e instaurare un regime fantoccio alla dipendenza diretta degli stessi USA. La domanda che sorge spontanea è: perché l'Iraq? Per 3 semplici motivi: -- è un paese che non può difendersi (la povertà causata dall'embargo provoca la morte per fame di 300.000 bambini ogni anno). -- l'Iraq offre un facile pretesto (la presenza di fantomatiche armi di distruzione di massa, che peraltro sono sviluppabili solo con un'altissima tecnologia e notevoli capitali, due cose che l'Iraq proprio non possiede) per giustificare l'attacco agli occhi dell'opinione pubblica, che nulla sa delle vere cause della guerra (le lotte per il controllo del petrolio). -- al momento, l'Iraq non gode della protezione di nessuno stato potente, in grado di opporsi con decisione alla minaccia di un attacco americano. [Slide 15] In più, negli ultimi 3 mesi, è scoppiata in tutta la sua drammaticità la rivolta sociale in Venezuela, in seguito alle disastrose condizioni di vita della popolazione, dettate dalle multinazionali statunitensi del petrolio. Il Venezuela è infatti il maggior rifornitore di greggio degli Stati Uniti. Cercare un'alternativa ad Arabia Saudita e Venezuela è diventato quindi l'oggetto prioritario dell'amministrazione Bush. [Slide 16] Cosa fare Innanzi tutto, far conoscere a più persone possibili le vere cause della guerra. Se una persona è ignorante, è facilmente controllabile. Se invece comincia a ragionare con la propria testa, è in grado di opporsi a scelte barbare e assurde dettate dal puro interesse economico. Sostenere tutte le associazioni che si battono per evitare questa nuova, inutile guerra. Bastano piccoli gesti, come appendere uno straccetto bianco allo zaino o alla borsa, oppure esporre la bandiera della pace al balcone. Firmare l'appello contro la guerra sul sito di Emergency: www.emergency.it |
L'appello dichiara di provenire da una fonte apparentemente autorevole: uno “studio” (o una “lezione”) del Politecnico di Milano. Questo fa pensare che si tratti di una serie di dati raccolta scrupolosamente, attingendo alle fonti più affidabili e sottoposta al vaglio scientifico che ci si aspetta da uno studio condotto da esperti universitari. Purtroppo non è così:
In altre parole, l'appello si basa su dati citati andando a memoria, tratti da un'unica fonte giornalistica, e conditi con imprecisioni aggiunte da terzi. Altro che “studio del Politecnico”.
I risultati di questa catena di leggerezze sono piuttosto vistosi. Per esempio:
Il vero problema è che nessuna di queste informazioni viene citata fornendo una fonte, e questo è un pessimo modo di operare. Ci viene chiesto di credere sulla fiducia a quanto viene detto: altro che “ragionare con la propria testa”.
A prescindere dall'esattezza o meno delle cifre citate, non sta in piedi il ragionamento “la Guerra del Golfo l'abbiamo pagata noi”. Secondo l'appello, l'avrebbero pagata “quelli che utilizzano il petrolio... cioè noi!”. Questa frase sembra creare una contrapposizione tra “noi” europei e “loro” americani, per cui si ha l'impressione che gli USA abbiano fatto la guerra e intascato miliardi di dollari spillandoli tutti agli europei.
Ma se il prezzo del petrolio aumenta, aumenta in tutto il mondo, Stati Uniti compresi. E mi pare proprio che anche gli americani consumino petrolio nelle loro auto, negli aerei (anche militari), nel riscaldamento e nell'industria, proprio come noi europei (forse di più). In altre parole, un rincaro del petrolio ricade su tutti i paesi del mondo che lo consumano e beneficia tutti i paesi che lo producono.
La Guerra del Golfo, pertanto, l'hanno pagata anche gli USA sotto forma di petrolio più caro. Semmai si può dire che c'è stato un arricchimento da parte delle compagnie petrolifere a danno dei consumatori (di tutto il mondo, americani compresi) e dei governi (di tutto il mondo, americani compresi), ma si tratta di un arricchimento che ha beneficiato anche le compagnie petrolifere non-USA (arabe, russe, venezuelane, libiche, cinesi, francesi, italiane e britanniche, per esempio).
Di certo, insomma, la situazione non è così semplice come viene dipinta dall'appello, in cui sembra che siano gli USA i soli beneficiari.
Il
mio consiglio è di non distribuire l'appello,
in quanto contiene dati e ragionamenti errati che di certo non
aiutano la causa della pace come invece dichiarano di voler fare.
Non è certo
con dati falsi e ragionamenti incoerenti che si aiuta la gente
a”ragionare con la propria testa“.
Sul fatto che nell'intervento militare in Iraq vi siano in gioco
interessi economici enormi, come in qualsiasi operazione militare,
non vi è alcun dubbio. L'aspetto bufalino sta nell'uso di dati
errati, nelle dichiarazioni di falsa autorevolezza e nel ragionamento
“paghiamo soltanto noi europei”. In tutti questi
sensi, l'appello è una bufala.
E' importante evitare che, come sempre, la prima vittima della guerra sia la verità, come ha commentato Carlo Presotto, del Centro per la raccolta delle voci e delle leggende contemporanee (http://leggende.clab.it). Per dirla schietta: se siete contrari alla politica statunitense, non
occorrono questi dati falsi per avvalorare la vostra presa di
posizione. Se studiate i libri di storia e vi documentate seriamente,
invece di accettare ciecamente qualsiasi diceria, troverete ragioni
molto solide. Tutti i paesi hanno scheletri imbarazzanti nell'armadio. Più sono (o sono stati) grandi, più è grande l'armadio.
Un'altra ottima ragione per non distribuire l'appello è che diffonderlo causa danni di immagine al Politecnico e/o ad Emergency, che un lettore distratto potrebbe ritenere ideatori e "autenticatori" della cosa. Visto il lavoro che fa Emergency in giro per il mondo, non mi sembra il caso di distribuire dei documenti che rischiano di provocargli un danno di immagine.
Un lettore, Giuseppe Greco, ha contattato Emergency (citata nella versione PowerPoint) e il Politecnico di Milano, e riferisce che “da Emergency mi hanno risposto subito [...] e mi hanno detto che non sanno nulla di quella presentazione”. Piuttosto comprensibile, visto che Emergency è citata soltanto come una delle organizzazioni alle quali si può dare una mano.
Siccome però il documento cita Emergency, molti utenti stanno subissando il sito Emergency.it di messaggi più o meno polemici in proposito, al punto che Emergency ha dovuto pubblicare una nota di chiarimento (http://66.71.136.240/emergency/allistante/visualizzazione/notizia.cfm?id=2062 per smentire qualsiasi loro paternità nel documento PowerPoint.
Per quanto riguarda il coinvolgimento del Politecnico, Giuseppe ha contattato il 28 febbraio 2003 il professor Rodolfo Soncini-Sessa, del Politecnico di Milano (citato qui con il suo permesso), che tiene il corso da cui sarebbero state tratte le informazioni (stando alla prima slide della presentazione PowerPoint, il corso è infatti indicato come “Modellistica e Gestione delle Risorse Naturali 1 del Politecnico di Milano”).
Ecco la risposta del professore. Le evidenziazioni in grassetto sono mie. Trovate la stessa risposta sul sito di Emergency all'indirizzo sopra citato:
La dichiarazione del professore del Politecnico Tutto è nato da una risposta a una domanda al termine di una lezione del mio corso. Ho fatto alcune deduzioni quantitative (quelle che compaiono nelle prime diapositive) partendo da dati attinti dal libro di Lucia Annunziata sulla guerra del golfo, che riportavo a memoria. Riproduco qui il passo originale Dieci anni fa “Desert Storm” costò 60 miliardi di dollari … Naturalmente, il costo della guerra non è un vero problema … l’ottanta per cento fu pagato dai paesi arabi che avevano chiesto l’intervento contro l’invasione. Ovviamente, in quel periodo il costo del petrolio passò da 15 $ a 40 $ a barile, perché le nazioni che pagavano ricuperassero le spese. Lucia Annunziata, “NO, la seconda guerra irachena e i dubbi dell’occidente”, Donzelli Editore, Roma, 2002, pag. 105. Un link per avere info sul libro in questione: http://www.cafeletterario.it/264/8879897462.htm Ma proseguiamo....... Uno studente ha creato a mia insaputa il file che sta circolando, indicando solo indirettamente che la redazione non è mia (“Tratto da …”), senza precisare che citavo a memoria (le cifre reali sono più alte da quelle da me riportate), introducendo alcune imprecisioni (ad esempio che le "sette sorelle [sono], tutte americane, di cui 5 di proprietà statale”) e notizie di cui non conosco l’attendibilità (il riparto degli utili del petrolio tra governo e privati)." |
Il professore ha contattato l'autore della versione PowerPoint, che (stando a quanto mi riferisce Giuseppe) ha dichiarato quanto segue (le evidenziazioni in grassetto sono mie; ho il nome dell'autore, ma lo tengo riservato dietro sua richiesta):
La prima dichiarazione dello studente autore del documento Ho appreso dai miei compagni di corso che sono nati dei problemi attorno ad un file di powerpoint che ho creato qualche tempo fa. Toni allarmistici mi parlavano di "cose che non vanno fatte in questo modo..." eccetera. Non capisco da dove saltino fuori tutte queste problematiche. Il file non è nient'altro che la risposta alle richieste di spiegare più chiaramente quello che, a parole, avevo provato a raccontare ai miei amici. Ho appreso che sono nate controversie anche sulla questione della fonte. Nel documento, ho chiarito subito che quelle non erano le sue esatte parole; ho messo "tratto da...", e mi sembra chiaro come questo voglia dire che si tratti di una mia rielaborazione di quanto ho sentito, attraverso l'aggiunta di mie informazioni e mie considerazioni. Non vedo neanche tutto questo alone di mistero attorno a chi fosse l'autore del file: quando l'ho spedito ai miei amici, non l'ho fatto in modo segreto! Ho normalmente usato la mia e-mail, senza camuffare in alcun modo il mio nome. E dopotutto, non vedo perchè avrei dovuto farlo. Sono comunque cosciente che il file, inevitabilmente, contiene degli errori, anche perchè l'ho composto "a memoria" dopo alcune settimane da quanto avevo sentito. Sarei contento di poterlo sistemare, per diffondere il più possibile notizie aderenti al vero." Buona giornata, [nome dello studente] |
Più sotto trovate una sua successiva dichiarazione di rettifica.
In altre parole, persino l'autore ammette che i dati riportati sono inaffidabili. Questo non lo ha trattenuto dal diffonderli, causando vera e propria disinformazione: un classico esempio di come non ci si renda ancora conto dell'enorme potere di diffusione di Internet. Un potere che comporterebbe una certa cautela e responsabilità prima di diffondere informazioni, cosa che invece accade raramente.
E anche ammesso che li corregga, ormai la versione errata è in circolazione ed è inarrestabile. Quanti si prenderanno la briga di cercare una versione aggiornata, di cui magari non conoscono neppure l'esistenza? Per questo è opportuno includere sempre negli appelli distribuiti via e-mail un indirizzo Web dal quale attingere eventuali aggiornamenti.
Il professore ora si ritrova "sepolto dalle richieste" e "viene contattato anche dai giornalisti a ripetizione alla ricerca di chiarimenti", come riferito da un e-mail del 28/2/2003 fra Giuseppe Greco e una rappresentante di Emergency che ho ricevuto in copia e come confermato in un e-mail inviatomi il 5/3/2003 dal professore stesso.
Questa è una classica dimostrazione dei danni involontari che può causare la diffusione di un appello senza le debite precauzioni: lo studente l'ha fatto circolare, e chi ci rimette adesso è il professore, tempestato di richieste di chiarimento e diffamato, in un certo senso, dal fatto che gli vengono attribuite dichiarazioni grossolanamente superficiali e inesatte.
Si prospettano inoltre delle conseguenze legali, che però ho il dovere di non divulgare in attesa del permesso degli interessati.
Ricevo da Ketty, responsabile comunicazione di Emergency, questa precisazione:
"[...] a discolpa del ragazzo posso dire che (almeno così mi è stato riferito) non aveva creato quel documento per renderlo pubblico, ma l'aveva semplicemente mandato a degli amici, che l'hanno preso per oro colato e inoltrato a loro volta. Di qui tutti i casini.
La morale, da parte mia, è quella che ho scritto anche sul nostro sito: l'informazione è una cosa seria, e va fatta in modo serio e non tutto quello che gira in internet va preso per oro colato, soprattutto se privo di fonti certe, attendibili e contattabili. [...]"
Non avrei saputo dirlo meglio!
Ho ricevuto direttamente dallo studente autore del documento una rettifica che mi ha chiesto di pubblicare. Eccola qui.
RETTIFICA Sono l'autore del file in Powerpoint che circola in rete col nome "Perché si fa una guerra.pps". Ho appreso che la presentazione da me creata contiene parecchi errori, anche gravi, che stanno causando un danno di immagine al Politecnico di Milano, ad un suo docente ed ai soggetti che ho erroneamente menzionato nel file, a cui vanno le mie scuse. Devo innanzitutto precisare che questo file non è in alcun modo uno studio del Politecnico. Tutto è nato da una risposta ad una domanda al termine di una lezione. La frase "Tratto da una lezione..." che compare sulla prima pagina della presentazione è stata da me erroneamente utilizzata: non aveva lo scopo di conferire autorevolezza al file facendolo passare per un documento o studio ufficiale del Politecnico, ma con essa mi sembrava chiaro dire che si trattava di una mia rielaborazione di quanto avevo sentito alcune settimane prima, attraverso l'aggiunta di mie informazioni e mie considerazioni, scrivendo "a memoria" sulla base di quanto mi ricordavo. L'enorme potenza diffusiva del mezzo di comunicazione da me utilizzato ha veicolato queste errate informazioni con una velocità ed una capillarità che mai avrei immaginato. Devo poi chiarire che la presentazione, che avevo creato per un ristretto gruppo di amici, non voleva in alcun modo essere un atto diffamatorio nei confronti dei soggetti relativamente ai quali ho detto cose non vere. E' doveroso, da parte mia, precisare che:
In Internet hanno cominciato a diffondersi anche versioni modificate da sconosciuti del file da me creato (ad esempio versioni di solo testo che parlano di "studio del Politecnico"). Da esse mi dissocio completamente, non essendone in alcun modo partecipe. Milano, 5 marzo 2003 |
Un lettore, mormar, mi ha indicato un sito Web, Tempi.it, che ha analizzato questo appello in un articolo di Rodolfo Casadei (http://www.tempi.it/archivio/articolo.php3?art=4893). L'articolo osserva in proposito, fra le altre cose, che “viene da chiedersi perché sauditi e yankees abbiano voluto liberare il Kuwait, se col petrolio a 42 dollari ci guadagnavano tanto” e che “all’impennata del prezzo del greggio nel ’91 seguirono tre anni di depressione economica: se il fisco americano ci aveva guadagnato qualcosa nei 6 mesi di prezzi alle stelle, ci ha sicuramente rimesso di più negli anni seguenti per la flessione del Pil.”
Difficile, dunque, sostenere anche il ragionamento proposto dall'appello. Per quanto riguarda le cifre, inoltre, Casadei cita The Economist del 22-28 febbraio 2003, notando che per “la nota spese delle prima Guerra del Golfo [...] la cifra esatta è 76,1 miliardi di dollari di oggi [...] di cui gli Usa coprirono solo 4 miliardi (e non 10), gli altri essendo pagati da arabi e giapponesi.” Notare che l'appello non parla affatto di questo contributo giapponese.
Inoltre, nota Casadei, “in
realtà le famose Sette sorelle sono sei, da quando nel 1984 la
Chevron ha acquisito la Gulf, nessuna di esse è di proprietà
statale e due di esse non sono americane: la Shell è
anglo-olandese e la Bp è britannica (questa è l’unica
che è stata in passato di proprietà governativa)”.
Tuttavia va detto che Casadei non è correttamente informato del fatto che l'appello non proviene da Emergency. Infatti nell'articolo parla di "un delirante file Powerpoint di origine Emergency". Questo non mette certo in buona luce il resto dell'articolo. Il 14/3/2003 ho avvisato Tempi.it della situazione.
Il 10/3/2003 ho ricevuto dal professor Rodolfo Soncini Sessa una sua nota di chiarimento. Il professore mi ha chiesto di pubblicarla, e così ho fatto. La trovate qui sotto. Il testo originale è in formato Word; l'ho convertito in pagina Web in modo da renderlo universalmente leggibile. Ho eseguito soltanto alcune modifiche necessarie per la conversione, incorporando nel testo le note a pié pagina.
I chiarimenti del professore del PolitecnicoCaro Paolo Attivissimo mi sono ritrovato nel suo sito, a cui sono a volte ricorso e in cui mai avrei creduto di finire. Apprezzo la garbatezza e la correttezza con cui ha gestito lo spiacevole episodio, che mi ha fatto perdere tanto tempo per gestire la valanga di richiesta di chiarimenti che mi ha sommerso. Spero che tutto terminerà con questa nota che la pregherei di appendere a quanto da lei scritto. I fatti sono stati da lei correttamente citati. Vorrei aggiungere solo tre chiarimenti: 1. Il contenuto della risposta, da cui è nato il documento dello studente.Nei casi di rivalità nella gestione di una risorsa naturale la soluzione negoziale tra tutti i portatori di interessi coinvolti porta quasi sempre a un risultato migliore per la società nel suo complesso. Per permettere la negoziazione si sono ideati dei sistemi (informatici) di aiuto. Era questo l’oggetto della lezione che avevo appena terminato con un esempio della soluzione negoziata tra Italia e Svizzera nella gestione delle acque del Lago Maggiore. Terminata la lezione uno studente mi chiese un altro esempio. Pochi giorni prima avevo scorso il libro di Lucia Annunziata [1: Lucia Annunziata, NO, la seconda guerra irachena e i dubbi dell’occidente, Donzelli Editore, Roma, 2002, pag. 105] sulla guerra del golfo e mi parve interessante costruire un esempio su tale base. Feci quindi rilevare come la guerra avesse prodotto una distruzione di risorse e una ridistribuzione dei redditi e dei poteri tra le parti:
I valori in gioco sono molto difficile da valutare, ma citai alcuni dati per invitare a riflessione. Osservai che, dal punto di vista globale, molte voci dell’elenco precedente si elidono, in quanto costituiscono un beneficio per qualcuno e un costo per qualcun’altro (ad esempio l’aumento della bolletta petrolifera è costo per i consumatori ed è un beneficio per le compagnie e gli stati produttori), così che a consuntivo rimangono solo i danni materiali: le vite umane perdute, i sistemi produttivi distrutti e le risorse sperperate. 2. I dati citatiSostenni le affermazioni precedenti con alcuni dati, che citai a memoria commettendo alcuni errori (questi dunque sono miei e non devono essere imputati allo studente), che non inficiano però la conclusione. Riporto i dati esatti e la fonte su cui a posteriori li ho verificati. a) il costo della guerra Il costo delle operazioni militari di Desert Storm, da me citato erroneamente in 40 miliardi di dollari, in realtà è stato di 61 miliardi [2: Final report to Congress – Conduct of the Persian Gulf war, http://www.globalsecurity.org/military/ops/desert_storm-refs.htm] e corrisponde ad un esborso di mezzi pubblici del Governo USA che ha prodotto un aumento del giro di affari di alcune società, per lo più quelle produttrici di servizi logistici e armamenti (e quindi del PIL dei loro paesi), che sono beni destinati a essere distrutti. b) il rimborso dei costi della guerra Il trasferimento tra gli alleati e gli USA è stato di 52.8 miliardi di dollari, di cui 36.1 (a memoria avevo detto 30) rimborsati da Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti, [3: fonte: vedi nota 2] il resto da paesi non del Golfo (Giappone, Germania e altri). c) il prezzo del petrolio e la copertura del rimborso da parte dei tre paesi del golfo Il prezzo del petrolio è aumentato rapidamente dopo l’invasione del Kuwait, partendo da circa 15 $ a barile per raggiungere un picco di 41 $ al barile nell’ottobre del 1990. Dopo l’inizio dell’operazione Desert Storm, nel gennaio successivo, il prezzo è sceso rapidamente per assestarsi attorno ai 18-20 $ al barile al termine delle ostilità. Nei sei mesi tra il luglio 1990 e il gennaio 1991 il greggio è stato venduto in media a 29 $ al barile, cioè 14 $ più caro che all’inizio [4: US Energy Information Administration, http://www.eia.doe.gov/emeu/cabs/chron.html)]. In quei mesi dunque tutti i consumatori hanno pagato bollette petrolifere più salate. Il grafico sottostante mostra l’andamento del prezzo medio mensile nel lungo periodo. Il punto 42 corrisponde all’invasione del Kuwait, il 43 all’inizio dell’operazione Desert Storm, il 44 alla fine delle ostilità [5: http://tonto.eia.doe.gov/oog/ftparea/wogirs/xls/psw13vdall.xls]. Da una variazione così rapida del prezzo del petrolio potrebbe sembrare strano che i rimborsi pagati dall’Arabia Saudita, dal Kuwait e dagli Emirati Arabi Uniti siano stati coperti dalla vendita del greggio. L’intuizione è però sbagliata perché non tiene conto del fatto che la guerra ha prodotto una ridistribuzione dell’estrazione tra i diversi paesi che dura tutt’ora. Lo si deduce dalla seguente tabella, che riporta il valore totale annuo dell’esportazione dell’Iraq e dei tre paesi sopraccitati per alcuni anni dal 1989 (l’anno precedente l’invasione del Kuwait) in poi [6: OPEC annual statistical bulletin 2001, pag. 16, consultabile sul sito http://http://www.opec.org] Valore dell’esportazione annua in milioni di $
Si vede come, a seguito del crollo delle esportazioni dell’Iraq (e di quella temporanea del Kuwait) sia aumentata l’esportazione dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti. 3. I limiti di ciò che ho dettoSono un esperto di Sistemi di supporto alla decisione e alla negoziazione, non un economista. Il mio scopo non era fare un trattato pro o contro la guerra, ma solo un ulteriore esempio per mostrare perché i sistemi negoziali possono essere utili, anche al di fuori del campo delle risorse naturali di cui mi occupo. Era un esempio a braccio, come se ne fanno tanti al termine di una lezione, e, come tutti gli esempi, può essere più o meno perfetto. Non era e non è mia intenzione farne una tesi sulla guerra da diffondere urbi et orbi. La ringrazio per l’ospitalità e per il suo paziente e prezioso lavoro. Cordialmente Rodolfo Soncini Sessa |
Ricevo oggi da un lettore di Madrid (josumezo) la segnalazione che la presentazione PowerPoint dello studente del Politecnico "è stata tradotta da qualche volontario senza nome (totalmente all'oscuro, suppongo, del pasticcio causato dal file in Italia) e ora sta facendo il giro dell'Internet spagnola (ne ho ricevute tre copie nell'arco della scorsa settimana). Un ulteriore esempio della confusione e disinformazione che può produrre una persona agendo innocentemente. Sicuramente ora migliaia di persone in Spagna lo stanno leggendo e ci credono."
Insomma, come Frankenstein il file ha preso inarrestabilmente vita propria, e non c'è nulla che il suo creatore possa fare per riprenderne il controllo. Chissà se questo pasticcio servirà da monito. Dubito seriamente. A proposito, qualcuno sa come si dice "bufala" in spagnolo? [Aggiornamento (19/3/2003): ricevo da un caro amico di lunga data, Gabriele Gianini (autore del vero primo libro su Internet in Italia, "Nel Ciberspazio con Internet"), la traduzione di "bufala" in spagnolo: è "bulo"]
Ketty, di Emergency.it, mi segnala che la presentazione circola ora anche in inglese assai maccheronico: i "retroscena" dell'attacco diventano "backstages", per esempio, e gli svarioni di sintassi non si contano. L'anonimo traduttore non si sofferma neppure a chiedersi il senso di frasi come "the 7 sisters (Shell, Tamoil, Esso)":
se sono sette, perché ce ne sono indicate solo tre? Mi ricorda tanto
quel film che grazie a un traduttore più improvvisato della media
conteneva la perla "Ti dico solo tre parole: ti amo". Insomma, perlomeno questa versione ha il pregio di essere divertente per le sue castronerie linguistiche.
Lo stesso lettore, josumezo,
che mi ha segnalato qualche giorno fa l'esistenza di una versione
spagnola dell'appello ora mi ha inviato anche la versione francese. Un altro lettore, alessandro.f****n, me ne ha mandato una versione in greco. Davvero inarrestabile, questa catena.
Fa piacere, comunque, che se ne parli in giro per segnalarne
l'inesattezza e per ribadire che l'autore non desidera più che circoli
e ha pubblicato una rettifica. Se ne è parlato, per esempio, a
Caterpillar (radio Rai) del 18/3/2003, di cui ho avuto il piacere di
essere ospite telefonico. Speriamo che serva a qualcosa.
Il petrolio è salito sì a 42 dollari il barile durante la Guerra del Golfo, come dice l'appello. Tuttavia dalle mie ricerche sembra che questo valore sia stato un picco piuttosto breve e che il suo prezzo sia sceso rapidamente a livelli inferiori a quelli prebellici non appena cessate le ostilità. Sono considerazioni utili per capire se sia ragionevole o meno quella "stima" di "guadagno" citata dall'appello.
Non sono riuscito a trovare online un grafico dettagliato dell'andamento dei prezzi intorno alla Guerra del Golfo. Il periodo coinvolto va dal 2 agosto 1990, giorno dell'invasione irachena del Kuwait, alla cessazione dell'intervento militare della coalizione multinazionale, durato dal 17 gennaio 1991 al 28 febbraio 1991 (http://www.infoplease.com/ce6/history/A0838511.html, http://www.cnn.com/SPECIALS/1998/iraq/9802/gulf.war.recap/prelude).
Per ora ho trovato conferme in un articolo di Business World, Inflation uptick expected in February, di Norman P. Aquino: “While crude oil prices jumped as high as $42 during the Gulf War, it dropped quickly when the conflict ended, with little long-term impact... During the Gulf War, oil prices came down very quickly after cessation of hostilities and dropped to levels below where they had been before the war -- less than $20 per barrel”.
Secondo un articolo di CNN (http://edition.cnn.com/2002/BUSINESS/asia/09/11/US.oil.biz), i prezzi erano saliti a oltre 40 dollari il barile a ottobre del 1990, e il 17 gennaio 1991, all'inizio delle ostilità alleate contro l'Iraq, sono precipitati da 30,20 dollari a 19,70 (“oil had briefly surged to over $40 a barrel by October 1990, only to dive right back. On January 17, 1991, the day allied forces first struck against Iraq, the price of oil fell from $30.20 a barrel to $19.70.”). In altre parole, l'aumento ci fu, ma fu di breve durata e al termine delle ostilità il prezzo scese, come dicevo, a livelli più bassi di quelli antecedenti la crisi irachena, iniziata nel 1990.
Ci sono inoltre dati storici presso il Department of Energy statunitense (www.eia.doe.gov/pub/international/ieapdf/t07_01.pdf , http://www.ott.doe.gov/facts/archives/fotw210supp.shtml e http://tonto.eia.doe.gov/mer/mer-toc-ct.cfm?MER_Table=DATASET901, che sembrano confermare che il picco di 42 dollari sia stato davvero molto breve.
Un lettore, p.dimartino, mi ha segnalato una cronologia dettagliata sull'andamento del petrolio durante la guerra del golfo (http://www.eia.doe.gov/emeu/cabs/chron.html), dalla quale traggo questo grafico.
I valori sono indicati in dollari senza correzioni per l'inflazione. Notate che il picco intorno al 1990-1991 è davvero breve. I dati mensili dal quale è stato generato il grafico sono disponibili in formato Excel presso http://www.eia.doe.gov/emeu/cabs/chron.xls.